È stata pubblicata la L. 13 dicembre 2024 n. 203 (c.d. Collegato Lavoro), in vigore dal 12 gennaio 2025, che apporta importanti novità in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, disciplina dei contratti di lavoro, adempimento degli obblighi contributivi e degli ammortizzatori sociali.

Per fornire le prime indicazioni su tale normativa, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato la nota n. 9740 del 30 dicembre 2024.

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Sicurezza sul lavoro (art. 1)

Il decreto prevede una serie di novità in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In particolare, ricordiamo:

  • Nell’ambito della sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente viene riconosciuta la possibilità di svolgere visite mediche preventive per valutare l’ idoneità alla mansione specifica anche in fase preassuntiva (lett. d, punto 1.1).
  • L’opportunità se svolgere le visite mediche precedenti alla ripresa del lavoro , a seguito di assenze superiori a sessanta giorni continuativi, viene valutata dal medico competente ( lett. d, punto 1.3 ) ;
  • Sempre nell’ambito della sorveglianza sanitaria viene introdotta la possibilità per il medico competente di evitare la ripetizione di esami clinici e diagnostici già effettuati risultanti dalla cartella clinica del lavoratore ( lett.d , punto 2 )
  • Per le attività lavorative svolte in locali chiusi sotterranei o semi sotterranei, se le lavorazioni non danno luogo ad emissioni di agenti nocivi, il datore di lavoro è tenuto a comunicare tramite PEC, al competente ufficio territoriale dell’Ispettorato (INL), l’uso dei locali allegando adeguata documentazione, individuata con apposita circolare dell’INL, che dimostri il rispetto dei requisiti di idonee condizioni di aerazione , illuminazione e microclima. I locali potranno essere utilizzati entro 30 giorni dalla comunicazione, salvo espresso divieto ( lett. e ).

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Cassa integrazione e attività lavorativa (art.6)

Con una norma finalizzata a ridurre la dipendenza esclusiva dalle misure di integrazione salariale e a favorire favorisce la ricerca di nuove opportunità lavorative, viene prevista la possibilità per il lavoratore in CIG di svolgere attività di lavoro in forma subordinata o autonoma, salvo dover comunicare tempestivamente all’INPS l’inizio della nuova attività (in mancanza il lavoratore perde il diritto a fruire di tutta l’integrazione salariale per il periodo). Durante lo svolgimento di tale attività viene sospeso il trattamento di integrazione salariale per i giorni di lavoro.

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Meno vincoli per la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (art. 10)

Con modifiche all’art. 31, D. Lgs. 81/2015, sono state introdotte semplificazioni in materia di somministrazione di lavoro.

Si prevede, nello specifico, prevedono l’esclusione dal computo dei limiti quantitativi (attualmente pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei contratti) delle ipotesi in cui la somministrazione a tempo determinato coinvolga lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’agenzia per il lavoro, o lavoratori assunti per determinate esigenze (svolgimento di attività stagionali, star-up, sostituzione di lavoratori assenti, ultra-cinquantenni).

Viene soppressa la disciplina transitoria (che era valida fino al 30/06/2025) relativa alla durata complessiva delle missioni a tempo determinato presso un soggetto utilizzatore. Tale disciplina prevedeva che la durata complessiva della missione (o delle missioni) a tempo determinato presso un soggetto utilizzatore non potesse superare il limite di 24 mesi (anche non continuativi), a condizione che il contratto di lavoro tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore fosse stato originariamente stipulato a tempo determinato e che l’agenzia avesse successivamente comunicato all’utilizzatore la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra la stessa agenzia ed il lavoratore (o la trasformazione a tempo indeterminato del precedente rapporto a termine). Di conseguenza, per effetto delle novità intervenute, se il contratto tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore è a tempo indeterminato, non trovano applicazione i limiti di durata complessiva (24 mesi) della missione a tempo determinato presso un soggetto utilizzatore.

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Meno vincoli anche per la somministrazione di lavoro a tempo determinato (art. 10)

In merito alla disciplina sulle causali del contratto di somministrazione a tempo determinato, il nuovo decreto apporta una modifica all’art. 34, comma 2, D.lgs. n. 81/2015, stabilendo che le “condizioni” previste dall’art. 19 comma 1 (l’obbligo, cioè di indicare le causali dopo i primi 12 mesi di attività complessivamente considerati), non operano in caso di impiego di alcune particolari tipologie di lavoratori.

Si tratta più in particolare dei soggetti che godono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, a cui si aggiungono alcune categorie di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati e quelli indicati nell’art. 2, numeri 4 e 99 del Regolamento Ue n. 651/2014., individuati con decreto del Ministero del Lavoro. Per tali categorie di lavoratori l’esenzione si traduce nella possibilità di usare la somministrazione a tempo determinato per un periodo massimo di 24 mesi e senza la necessità di apporre la causale dopo i primi 12 mesi.

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Interpretazione autentica delle c.d. attività stagionali (art. 11)

Viene fornita un’interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, del D. Lgs. 81/2015 in materia di attività stagionali per i contratti a termine.

Su tale concetto occorre fare una piccola premessa e ricostruzione storica.

Nell’ordinamento vigente non esiste una nozione diretta e specifica di “stagionalità”, che possa utilizzarsi per qualificare i rapporti di lavoro in via generale come tali, ma solo richiami per specifici regimi in deroga.

Su tale tema si era, peraltro, recentemente consolidato un orientamento secondo cui i picchi stagionali di attività continuative non potessero essere considerate come lavoro stagionale: la Suprema Corte (Cass. 9243/2023) aveva, infatti, affermato che nel concetto di attività stagionale possano comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto e non anche a situazioni aziendali collegate a esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggior richieste di mercato o da altre ragioni di natura economica produttiva.

Inoltre, a ulteriore incremento delle proprie motivazioni, la Suprema Corte, in via restrittiva, aveva evidenziato come il D.P.R. 1525/1963 (riferimento passato e presente per definire le attività stagionali), contenesse “un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazioni che depongono nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 [oggi 24] mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Nel momento in cui fu redatto il D.Lgs. 81/2015, all’articolo 21, comma 2 (dove si prevede l’obbligo di un periodo cuscinetto di 10 o 20 giorni nelle riassunzioni a termine) si inserì come soggetti in deroga a tale disposizione “i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525”.

A tale disposizione si agganciano, mediante un espresso richiamo, una serie di ulteriori deroghe, legate al limite massimo per successione di 24 mesi (articolo 19, comma 2, D.Lgs. 81/2015) e al limite quantitativo di utilizzo dei contratti a termine, 20% o diverso limite previsto nella contrattazione collettiva (articolo 23, comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Come era facilmente prevedibile, il promesso “decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali” non è mai stato emanato e, quindi, unico parametro normativo di riferimento è stato sempre e solo il (datato) D.P.R. 1525/1963, emanato al fine di specificare un elenco delle attività stagionali che legittimassero l’utilizzo del contratto a tempo determinato.

Ora, con l’articolo 11 del Collegato Lavoro (L. 203/24), si tenta di disinnescare tale ambiguità (e il relativo contenzioso): in particolare, si prevede, con norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 81/2015, che rientrino nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal D.P.R. 1525/1963, “le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015”.

In pratica, oltre ai cosiddetti “stagionali”, la norma specifica che rientrano nella categoria quelle attività organizzate per far fronte a “intensificazioni” dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.

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Durata del periodo di prova nei contratti a termine (art. 13)

Viene modificato l’articolo 7, comma 2, D. Lgs. 104/2022, introducendo un nuovo meccanismo per la determinazione della durata del patto di prova per i contratti a tempo determinato: in particolare la durata del periodo di prova è, infatti, stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro; in ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a 2 giorni né superiore a 15 giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a 6 mesi, e a 30 giorni, per quelli aventi durata superiore a 6 mesi e inferiore a 12 mesi.

La norma fa salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva.

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Termine per le comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro agile (art. 14)

Modificando l’art. 23, L. 81/201, è ora previsto che il datore di lavoro comunichi, in via telematica al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di fine del lavoro agile entro 5 giorni dalla data di avvio o termine del periodo.

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Apprendistato: formazione e trasformazione (artt. 15, 16 e 18)

Viene prevista l’estensione a tutte le tipologie di apprendistato delle risorse destinate annualmente al solo apprendistato professionalizzante. E’ prevista inoltre la possibilità di trasformare l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale anche in apprendistato professionalizzante e/o di alta formazione e ricerca, successivamente al conseguimento della qualifica o del diploma professionale.

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Regime forfetario per i c.d. contratti misti (art. 17)

Precisando che in tale ipotesi spetti al lavoratore il regime fiscale forfettario per il reddito autonomo, viene incidentalmente definita “contratto misto” l’ipotesi (invero ipotesi da sempre in ammessa…) di assumere un professionista iscritti ad albi o repertori professionali con un contratto di lavoro dipendente a tempo parziale e indeterminato (con un orario compreso tra il 40% e il 50% del tempo pieno previsto dal CCNL).

Tale regime agevolato spetta solamente ai lavoratori autonomi e dipendenti part-time che svolgano l’attività in favore di datori di lavoro con più di 250 dipendenti (valore calcolato alla data del 1° gennaio dell’anno in cui sono stipulati contestualmente il contratto di lavoro subordinato e il contratto di lavoro autonomo o d’opera professionale).

I lavoratori autonomi sono tenuti a eleggere un domicilio professionale distinto da quello del soggetto con cui hanno stipulato il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale.

Il contratto di lavoro autonomo deve essere certificato e la relativa attività non deve sovrapporsi a quella del lavoro subordinato. Infine, il regime forfettario diventa accessibile anche ai non iscritti ad albi o repertori se previsto da specifici accordi di prossimità (art. 8, D.L. 138/2011).

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Dimissioni per assenza ingiustificata (art. 19)

Sicuramente tra le norme simbolo del provvedimento, l’ art. 19 va a modificare l’art. 26, D. Lgs. 151/2015 (disciplinante le modalità di presentazione delle dimissioni).

Viene ora previsto che l’assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre i 15 giorni, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore senza che sia necessario applicare  la disciplina sulle dimissioni telematiche (di fatto viene reintrodotta l’ipotesi delle dimissioni per fatti concludenti).

Il datore di lavoro, per valersi dell’effettività delle dimissioni, deve comunicare all’Ispettorato del Lavoro l’assenza per le dovute verifiche sulla veridicità della comunicazione.

È comunque previsto il diritto del lavoratore a contestare le dimissioni dando prova dell’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza. In assenza di tali motivi il rapporto di lavoro si intenderà risolto per volontà del lavoratore e, di conseguenza, quest’ultimo non potrà fare richiesta di Naspi venendo meno il requisito della disoccupazione involontaria.

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Conciliazioni telematiche (art. 20)

Viene introdotta una semplificazione per le procedure di conciliazione in materia di lavoro previste dagli articoli 410, 411 e 412-ter c.p.c., che potranno svolgersi in modalità telematica e mediante collegamenti audiovisivi (da remoto), ma solamente dopo l’entrata in vigore di apposito decreto ministeriale, stabilente le relative regole tecniche.

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Rateizzazione debiti contributivi (art. 23)

Viene introdotta la possibilità per INPS e INAIL di autorizzare la rateizzazione dei debiti contributivi non ancora affidati alla riscossione, fino a un massimo di 60 rate mensili e per i casi previsti dal Decreto del MLPS da emanarsi. La misura, valida dal 1° gennaio 2025, è volta a favorire la regolarizzazione spontanea dei debiti contributivi, con l’obiettivo di agevolare i datori di lavoro in difficoltà economiche.